La parola dipinta
mi si addice:
è materia viva,
vernice fresca,
danza nei colori
il mio dire.
Vedo le pareti
della stanza
farsi liquide e assumere un colore diverso
– il nero viola d’inchiostro –
la traccia di me.
Nel pianto mi dispero
e invoco il richiamo che
da sempre arde dentro
come un fuoco.
Una luce
che splende come oro;
Non oppongo resistenza,
mi lascio travolgere,
come un’onda,
da quella voce che ritorna
con irruenza.
Ho sciolto le catene,
mi attraversa,
rinsavisco Intera.
Tra impeti vertiginosi
sospiro leggera,
nelle tele variopinte
del mio Sacro palpitar Profano.
Maria Fiore poetessa
IL SENTIMENTO NELL’ ARTE DI MARINELLA POMPEO
Prof. BENIAMINO DI MARCO
Direttore del Consiglio Pastorale Diocesano
L’ afflizione e il patimento umano che traspare dai dipinti e, in special modo dalle figure femminili della pittrice Marinella Pompeo, non sono un tormento fine a se stesso ma uno strumento di catarsi, che per gli antichi Greci incarnava quel sentimento di liberazione e di sublimazione dell’ anima attraverso l’ arte in tutte le sue manifestazioni .
L’ opera di Marinella diventa catartica in quanto ella stessa riesce a liberarsi da esperienze traumatizzanti facendole riaffiorare alla propria coscienza attraverso gli eventi responsabili , rimuovendoli dal proprio subconscio e creando il ponte empatico col fruitore.
Marinella Pompeo: “Stasi”
L’ ambiguità semantica del titolo della mostra, vuole stimolare il fruitore ad un’insolita riflessione alla
ricerca del legame tra il termine “Estasi” e quello in esso contenuto, ovvero “Stasi”.
L’ispirazione è nata proprio dall’incontro dell’idea della stessa artista che ha voluto raccogliere, sotto un
unico concetto di “Stasi”, l’intero progetto nato ed evolutosi durante l’epocale periodo di lockdown e, il
turbinio di emozioni che le sue opere generano alla vista a partire dal loro significato.
L’ Estasi costituisce, infatti, quello stato psichico morboso che conduce all’alterazione della sensibilità e
della percezione della realtà, in cui l’anima appare distaccata dal corpo ed entra in comunicazione col
mondo interiore, con l’inconscio, per consumare un sentimento forte, provocando finanche la perdita delle
normali possibilità di movimento. È qui che si consuma il senso del tema che ripercorre l’esposizione e si
rintraccia negli aspetti più reconditi di ogni dipinto, dove i soggetti sono catapultati in una condizione di
totale evasione dalla realtà circostante, in uno stato di isolamento in cui si avverte un peculiare
rallentamento del flusso organico.
I lavori che porta in mostra sono, pertanto, il riflesso di una condizione umana che l’ha vista protagonista,
sono una sorta di autobiografia raccontata per immagini, un diario dipinto in cui leggiamo i sentimenti
vissuti dall’artista.
Emblematiche, a tal proposito, sono le confessioni dell’artista per addentrarci nei misteri della sua arte:
“ L’ esperienza con la pandemia è stata di palpabile desolazione, accompagnata da un lungo periodo di
ristagno creativo. Il confinamento, la paura, l’angoscia mi hanno confinato in un piccolo spazio mentale dal
quale fuoriusciva labilmente una parte consapevole di me. Sono stata invano alla ricerca di bellezza…ho
accettato la stasi attendendo il lento fluire”.
Potremmo riassumere il concetto dicendo che, Marinella Pompeo, attraverso la sua opera, si propone
l’intento di ricercare la bellezza anche nella staticità, nella paralisi di un mondo che ha fermato
improvvisamente le nostre frenetiche vite, ma che non ha arrestato la capacità di provare emozioni.
Il filo conduttore di tutto il progetto è sicuramente l’immagine del corpo femminile a cui, l’artista, dedica
una particolare attenzione.
Quello che potrebbe, però, sembrare una celebrazione della donna in sé, della sua bellezza idealizzata è,
invece, un’esaltazione delle sfumature dell’anima, un veicolo per esprimere l’istinto e rappresentare quello
che l’inconscio suggerisce.
Non vediamo, infatti, donne combattive o vittoriose, le sue donne non ci guardano, non sfidano
l’osservatore con il loro sguardo, anzi, gli occhi ci appaiono come persi nel vuoto, smarriti, confusi. Non
cercano un dialogo con l’osservatore, cercano piuttosto uno scambio di pensieri, un passaggio di emozioni.
Sono l’emblema della sensibilità e a chi, se non alla donna, si può affidare il ruolo di trasmettere questi
sentimenti. Le donne di Marinella possono essere intese come le allegorie dei sentimenti che, attraverso il
corpo e i suoi dettagli, impersonificano la forza, la desolazione, la costrizione, la speranza intrappolate nella
spirale di un inarrestabile fluire senza origine e fine. Vincolate all’interno di spazi desolati, le figure
silenziose, chiuse in una inalienabile fissità, vengono velate e rivelate, con tagli provocatori, apparizioni e
nascondimenti, disorientando la percezione visiva.
L’artista adotta così, raffinate strategie decorative, preziosi cromatismi e energiche azioni gestuali
riuscendo a raggiungere apprezzabili livelli di forza espressiva.
La pittrice infatti non ha utilizzato e riprodotto, semplicemente, i colori osservati nella realtà, ma li ha
caricati di significati, facendo del linguaggio cromatico una sua precisa firma stilistica.
Tra i colori che predominano c’è sicuramente il blu, profondo, inteso, drammatico; il rosso, una tinta dalla
tradizione ancestrale, che evoca il sangue inteso come energia. Rosso è il colore dell’amore, delle emozioni,
rosso è il colore del fuoco, ma anche della forza, del potere, della vittoria.
A questi si aggiunge il “viola” colore più spesso associato alla regalità, alla magia, al mistero, ma che risulta
anche legato ad un evento doloroso. Per la nostra artista, la tinta violacea rappresenta principalmente una
condizione di conflitto interiore, a cui dà addirittura un’immagine e una consistenza nell’opera “Il volto del
viola”.
L’impatto psicologico della fonte di colore, che illumina il soggetto nello spazio, è sicuramente acuito dal
ruolo che il drappeggio assume nella composizione, creando materialmente lo spazio, come in
un’architettura nel quale si svolge la scena. Vediamo come esso modellandosi elegantemente sui corpi,
mette in risalto le forme, funge da esaltatore del personaggio donando non solo un contrasto cromatico,
ma soprattutto un intimo senso di regale spiritualità.
Il panneggio, elemento chiave dell’intera opera, è qui una metafora della barriera, può essere tradotto
come un blocco che opprime l’istinto e ostacola il naturale funzionamento delle capacità fisiche.
Dentro le pieghe di quei manti, in cui si nascondono le insidie di un tempo confuso e sospeso, si fanno
spazio, come per cercare una via d’uscita, porzioni di vita.
Quelle mani, che protendono oltre la tela, nell’opera “Presa d’aria”, comunicano un bisogno, una ricerca di
libertà, tentano appunto di uscire attraverso uno spiraglio per cercare di costruire un nuovo tempo.
Allo stesso modo, in “Varco prezioso” sembra di poter sentire il respiro ansimante e affannoso di chi è
oppresso da un peso che fa mancare il fiato. Quella bocca che si schiude a fatica ha bisogno di ossigeno, di
connettersi con il mondo esterno, ha desiderio di tornare a mostrarsi.
È bastato, esattamente, un unico elemento, preso in prestito dal linguaggio gestuale, per trasmetterci un
groviglio di sensazioni di cui ognuno ha fatto esperienza in quel periodo di necessario isolamento.
Questo viaggio che ci ha permesso di esplorare la condizione umana di un tempo tutt’altro che prospero si
conclude, tuttavia, con un messaggio benaugurale.
Arriviamo così all’ “Antica custode” dove protagonista della scena è, con tutta evidenza, il baule: elemento
romantico, usato come metafora di un nascondiglio dove riporre e custodire i pensieri più gelosi, le paure
recondite, i ricordi più affettuosi. Proprio ad esso, la donna, in una posizione trasognante, affida le
speranze, i desideri e le aspettative, certa di ritrovare intatte le tracce dei percorsi lasciati interrotti e
tornare a viaggiare nelle tentazioni della vita.
Dott.ssa Maria Sessa -critico d’arte